A proposito di crepe e storie inimmaginabili

Centro storico di Reggio Emilia · Incisione su un muro

In questi giorni lenti di ritiro a causa del Covid-19, mi è tornato in mente un concetto interessante per chi si dedica alla scrittura: le crepe.

Le crepe sono quei dettagli che nel quotidiano potete incontrare ovunque e in ogni momento, capaci di accendere l'immaginazione, sottili squarci della realtà dove ci si può infilare dentro per esplorare storie inimmaginabili da scrivere tutte d'un fiato.
Ecco una possibile risposta a chi si domanda come trovare l'ispirazione? come superare il blocco dello scrittore? quali consigli per scrivere meglio? come stimolare l'immaginazione? e così via...

Lo spunto delle crepe mi è rimasto impresso durante il corso di Scrittura Fantastica, che ho seguito a ottobre 2019 a Reggio Emilia, con lo scrittore e sceneggiatore Daniele Lunghini.
"Andate e cercate le crepe" ci disse una sera.
E così abbiamo fatto.
E così sono nate storie inimmaginabili.

Qui di seguito ripropongo la mia, nata dopo aver notato antiche - e forse "dimenticate" - incisioni sui mattoni della facciata laterale di un palazzo nel centro storico della mia città.

E voi, avete mai cercato delle crepe?

***

Il mio cane tira. Tira. Tira. Il guinzaglio è teso mentre il mio braccio destro lo segue senza protestare. Oggi non ho voglia di opporre resistenza. Seguilo, mi dico.
Quel muro deve avere un fascino particolare, di quelli irresistibili. Perché proprio lì sta per condurmi. Al cospetto di quell’alto, regolare, antico muro di mattoni rossicci che segnano il confine laterale di un enorme palazzo del centro storico. Un confine che si infila, correndo lungo una via secondaria, animata da auto parcheggiate, persone che spingono sulle suole delle scarpe per andare più veloci, biciclette che si materializzano al di là degli spigoli, donne che lanciano briciole dalle finestre, antenne che emanano segnali, foglie verdi che si affacciano dalle ringhiere di quei balconi appesi lì, rumori che si sovrappongono disordinati in questa città che vuole vivere veloce. E poi ci sono io, che arranco dietro al mio cane senza sapere minimamente perché proprio quel muro è oggetto di tanta foga. Ma il suo naso non mente, mentre si muove veloce contro quei mattoni, un attimo prima di alzare la zampa e segnare di pipì il nostro passaggio. Ed è proprio in quel preciso momento che sospiro sudaticcia, guardando dritto in faccia quei mattoni a pochi centimetri dai miei occhi. Ed è proprio in attimi banali come questi che la normalità si diverte a deformarsi, lasciandoti lì a un passo dall’incredibile.
Quante volte sarai passata di qua? Quante?
D. 1775
Eppure quell’incisione profonda in un mattone qualunque di un muro qualunque, l’avevi sempre ignorata anche tu. Come tutti. Fino ad ora, quando la pipì del tuo cane ha fatto da parola d’ordine per riaprire un varco tra due mondi, tra il presente e un passato che trascende qualunque ricordo umano, tranne quello di quel muro.
D. 1775
I miei occhi scorrono veloci lungo i bordi regolari e graziati di quella cicatrice profonda, incisa con gentile dedizione da una mano tenace. La tocco con le dita impazienti, proprio come fa un cieco con la sua scrittura puntinata, alla ricerca di un significato. Io, che cieca lo sono stata fino a questo momento, analfabeta di messaggi remoti ma meravigliata al punto da tagliare il filo che mi lega al qui ed ora.
Perché in questo punto esatto il tempo ha fatto una piega strana, in questi pochi centimetri si è fermato, lasciando che tutto l’intorno andasse avanti. Tutto ma non qui, dove tengo le dita appoggiate, pigiando su un tasto che non so quali connessioni possa accendere.
Cosa volevi dirmi uomo del 1775?
Perché nella notte, senza che nessuno ti vedesse, ti sei fermato, hai scelto proprio questo mattone e con pazienza hai iniziato a graffiare la superficie?
Forse volevi incidere l’iniziale del tuo nome e quella data, proprio quella, così importante per te. Così dannatamente importante da legarla per sempre a una promessa.
E chissà se un pensiero folle è affiorato tra i tuoi pensieri mentre affidavi il tuo messaggio all’universo proprio su quel muro: pensa se tra 244 anni una donna con il suo cane si fermasse qui davanti e lo vedesse. Vedesse il segnale, sopravvissuto a tutto, che sono esistito davvero. E pensa se quella donna, senza sapere perché, riconoscesse la tua grafia e per un attimo sorridesse, proprio come un’ebete che fissa un muro.
Sorridesse come un’ebete, divertita proprio come quando tu dicevi che - sì forse un giorno - ci reincontreremo e le nostre vite potranno coincidere di nuovo. Per un attimo o forse di più, ma nella consapevolezza che non è la prima volta.

Commenti

  1. Grande Elisa. :) E' un testo bellissimo pieno di ritmo e armonia.

    RispondiElimina

Posta un commento

Grazie per il tuo commento!



Ultime da Instagram